Critica di Paolo Marzano

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La Natività è il tema scelto da Nicola Ancona per realizzare l’originale lavoro di ricerca e sperimentazione pittorica che osserviamo nelle opere esposte. 

L’argomento considerato ha sempre portato con sé un grande interesse specialmente per tutte quelle numerose componenti altamente significanti che gli artisti e i loro committenti, nella storia dell’arte, hanno cercato in maniera diversa di esaltare contribuendo al moltiplicarsi delle sue infinite varianti. Ed infatti proprio nella rappresentazione di un ambiente modesto, povero, l’identificazione dell’umile giaciglio approntato per un bambino appena nato, attorniato da un gruppo di figure, costituisce la scena fondamentale di un intero immaginario denso di avvenire.

Un insieme di personaggi eterogenei, diversificati per caratteristiche e attributi che, con le loro identità e relazioni affettive rispetto all’evento, declinano le molteplici forme di meraviglia e la serie di gesti “patetici” conseguenti allo stupore misto alla tenerezza, al completamento della scena di cui sono/siamo testimoni.

Dal tempo della rappresentazione del presepe in poi, il pathos diventa interprete principale dell’arte, ed è con questo elemento che Nicola Ancona ha voluto cimentarsi coinvolgendoci in un luogo privilegiato dalla luce e sperimentando, non senza sorprese, i suoi “Capricci pittorici”.

Ma vediamo come e con quale obiettivo. Nicola Ancona dispone di una solida strumentazione teorico-pratica nata dall’esperienza del campo del restauro delle opere d’arte.

La competenza nella materia ha ben strutturato la sua pratica vocativa in-formando pienamente la sua espressività che conquistando gran parte del suo tempo, non ha mancato di sollecitare anche intuizioni creative con cui si è saputo confrontare, riuscendone a capitalizzare artisticamente le particolari provocazioni.

Restaurare dipinti su tela, su tavola o affreschi, ma anche scultura lignea e lapidea fa parte ormai di una pratica con la quale egli ha costruito un suo vasto abecedario. Per ognuna di questa specializzazioni infatti occorre considerare pesi specifici e concettuali diversi; il “buon lavoro” consiste proprio nell’assecondarne le realtà materiche, stilistiche e percepirne le attinenti potenzialità di variazione, miticandone gli impatti nel tempo e valorizzandone invece le qualità espressive come ogni buona procedura di restauro si propone.

In effetti, lavorare sui capolavori dei grandi maestri della pittura è come far parte della loro storia e contribuisce a produrre un senso di empatìa, utile a comprendere meglio il loro modo di lavorare, quindi l’uso della tecnologia adottata e l’organizzazione strategica per realizzarli. 

Osservando attentamente le opere di Nicola Ancona, ci si accorge di come sia importante la sua competenza, nel saper gestire sapientemente il contesto compositivo, la tecnica pittorica e pesarne la distribuzione degli elementi che caratterizzano l’ambientazione della scena (luce, intensità, densità di colore, posture, pathos). 

Tali condizioni alla ricerca di un equilibrio compositivo hanno permesso a Nicola Ancona di identificare i luoghi e gli spazi dove inserire delle pertinenti singole figure o sottrarne la portata empatica.

Sorprendentemente è l’adattamento di questi nuovi personaggi capace di generare un’opera nuova, creata però con riferimenti congrui. Non certo privo di interesse è poi il cambiamento dello “stato pittorico” che muta partendo dalla conoscenza della luce, ad esempio, nel caso della luminosità delle opere del Tiepolo o delle ombre nette di De La Tour, dei chiari panneggi del De Mura, o ancora la spazialità di Poussin o ancora sfidando la dinamica dei gruppi del Solimena. 

Succede, dunque, che se necessaria non soltanto la perspicace azione di isolare episodi pittorici, ma anche di inserirli in altri contesti, riprogettandone, volta per volta, l’intera scena. Mai però sconvolgendone la prassi compositiva o il tono generale indicato dall’autore originario, in cui opera il “capriccio” di Nicola Ancona. L’affascinante esercizio di stile a cui Ancona ci sottopone contribuisce ad esaltare la componente didattica di queste opere, che riguarda lo studio delle figure e la composizione dei gruppi pur rispettando l’equilibrio delle parti come il suo maestro indica.

D’altronde chi ha la passione di analizzare e di approfondire lo stile, ad esempio di Michelangelo, avrà notato come l’antico “torso del belvedere”, diventi per l’artista un memorabile bagaglio di elementi anatomici che ritroviamo nei tanti profeti, nelle Sibille o nei Nudi della Cappella Sistina, o come il panneggio patetico di Niccolò Dell’Arca nel Compianto Bolognese, ad esempio, possa avere influenzato le lunghe e gravi pieghe delle michelangiolesche pietà marmoree. 

Ed è interessante ancora percepire e verificare che, altro esempio, nel caso del Solimena, viene adottato il merito di prelevare gruppi (cartoni) di figure e di riproporli fedelmente, a volte, anche solo ribaltandone o dividendone gli elementi per comporli completando o sostituendo l’insieme dei personaggi in altre opere. Così Nicola Ancona adotta il modus operandi dei vari grandi artisti e sperimenta, ritengo con buone esisto, la costruzione dell’ambientazione della scena, indicandoci l’importanza della necessaria esperienza proprio nell’approccio all’opera dei tanti elementi di cui è composto. 

Se la natività è il tema che lega le opere presenti in questa mostra, sarà importare allora comprenderne i dettagli e soffermarsi a guardare le differenze interpretative, confrontarne le soluzioni adottate con le opere originali, e ripercorrerne le aree riprodotte nell’opera finale o quelle assenti, considerare l’altezza del luogo dell’intervento di sostituzione rappresentato e gli inserimenti conseguenti, constatandone in ultimo, il risultato della trasformazione, per poi studiandone le novità dell’opera generata (luce, ombre, colore, posture, riverberi sulle cose e sulle figure). 

Individuando visivamente tutte queste caratteristiche compositive, dunque, non faremo altro che esercitare la nostra sensibilità e il nostro spirito d’indagine, riconoscendo tutti quegli stati di variazione della bellezza che Nicola Ancona, con curi, grazie al tempo che ha trascorso a contatto con i lavori dei grandi maestri, ha saputo trarre.

Paolo Marzano