Critica di Nicola Pice

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Arioso, fresco ed etereo è il linguaggio pittorico di Nicola Ancona, nel quale avverti l’eco dell’astrattismo e del surrealismo onirico, ricca di invenzioni cromatiche la sua pittura lieve e sottile, immediata perché spontanea, alla ricerca di nuove tecniche espressive, in bilico tra concretezza e evanescenza. Paesaggi e figure spesso rimangono abbozzati, non finiti: perché l’osservatore li completi, perché si impone il compiacimento del dolore, fors’anche perché l’autore più che dal reale è attratto dal gioco delle trasparenze in un gioco di metamorfosi inteso come processo nomade della immaginazione. 

Nascono così angeli mossi dal vento e farfalle senza peso che si levano in alto per dissolversi in nuvole; una incorporeità delle figure che ad Ancona deriva dalla familiarità avuta col barocco leccese, subendone l’influsso ovvero la sua lievità, la sua frivolezza, la sua effimerità. Un’arte non senza un profondo involucro di pensiero: l’insostituibile leggerezza dell’essere quale amara constatazione dell’ineluttabile pesantezza del vivere. Così la realtà si riduce ad un mondo estenuato d’ombre: una farfalla che spunta dall’amplesso di una coppia con figure evanescenti; paesaggi che si sperdono tra il verde di un piano e un cielo madreperlaceo; un abbraccio di amanti avvolti da un movimentato gioco di veli trasparenti; marine distese e promontori di finis terrae; piazze di città tra voli d’uccelli sotto una macchia rosa di cielo e un movimento di architetture contigue; nudi e ritratti di donne angelicate, voli di colombe, forme ascensionali come sublimazione dello spirito e gioco di metafore. 

E l’artista oscilla tra senso e intelletto, istinto e ragione, carnale e spirituale, naturale e sovrannaturale, con una visione della realtà concepita come movimento, instabilità, labilità, trasformismo illusorio. Questo stadio intermedio tra conscio e inconscio costituisce la trama narrativa della pittura di Ancona, un artista consapevole che è nell’inconscio il dolce della vita che si materializza in colore, perché “nulla, se non vana parvenza io vedo essere tutti noi viventi umani, nulla, noi tutti, se non ombra lieve”. E il quadro si accende di luci metafisiche e si riveste di silenzio per esprimere una visione della vita fragile e fugace.

Nicola Pice